Matrimonio, convivenza, divorzio

 

Da una recente indagine dell'Istituto per le ricerche sulla popolazione del CNR è emerso che la maggior parte dei matrimoni avviene in chiesa secondo il rito religioso cattolico (nel Sud Italia oltre il 75%) e che i matrimoni civili sono negli ultimi anni in netto aumento (dal 20,29% del 1996 al 36,73% del 2008 secondo i dati ISTAT). In aumento anche la percentuale delle unioni libere con figli, delle convivenze, delle famiglie mononucleo, i cosiddetti single.  I matrimoni religiosi in Italia secondo rito cattolico sono scesi dai 257.555 del 1991 ai 214.255 del 2000, fino a calare a 156.031 del 2008.

L'istituzione matrimoniale pare ritenuta ancora il contesto esclusivo entro il quale diventa possibile l'uso completo della sessualità nel rapporto a due: testa, cuore, corpo, spirito. Solo  nella coniugalità sembra si possano realizzare tutte le dimensioni della sessualità come struttura d'amore. Ed è nel matrimonio, in quanto unione stabile di uomo e di donna, che vengono a realizzarsi tutte le condizioni per cui la sessualità può correttamente esprimersi come struttura dell'amore e divenire umanizzata. Il matrimonio dunque risponderebbe alle esigenze fisiche e morali dell'amore reciproco tra uomo e donna, l'avvenire della vita nuova da procreare, le esigenze fisiche-morali dei figli già nati, le esigenze della famiglia con la comunità umana del mondo intero.

 

Attività:

se questi sono i dati che emergono dall’elaborazione statistica, perché allora, secondo te, si ha paura a contrarre il matrimonio e si preferisce provare a stare insieme convivendo? Che cosa è cambiato rispetto al passato?

 

Nonostante il modo ideale di vivere sia ritenuto lo sposarsi ed avere figli, ci sono resistenze da parte dei giovani a compiere scelte definitive: fragilità ed insicurezza personali, scetticismo originato dall'aumento di divorzi e separazioni, banalità e vuoto formalismo del pubblico riconoscimento dell'unione, che sarebbe un puro atto formale per convenienza sociale ed economica. Molto spesso dietro la decisione di convivere si nasconde l'individualismo dei singoli, la loro paura a perdere chissà quale libertà personale e la negazione del valore sociale della vita di coppia. Soprattutto nelle grandi aree urbane, nel mondo occidentale le convivenze sono una realtà  molto diffusa.

 

 

Rispetto al passato l'elemento nuovo è che l'incontro uomo-donna non avviene più nella prospettiva del matrimonio e il matrimonio non è più il modello di riferimento per l'esercizio della propria sessualità. Anche la dissociazione tra sessualità e procreazione, controllata dai metodi contraccettivi, ha comportato cambiamenti a favore delle convivenze anziché dei matrimoni quali nascita di famiglie.

La Chiesa continua a ribadire il valore del matrimonio come impegno pubblico, nuova famiglia di fronte alla società e alla Chiesa che va sostenuta e aiutata a crescere nell'amore. Se chiediamo a chi ha vissuto senza famiglia, senza un genitore o a chi ha assaporato per un po' il bello di una famiglia unita e poi ne ha subito la perdita perché i genitori si sono separati o divorziati, quanto dolore si prova e come la ferita faccia fatica a rimarginarsi, comprendiamo la fortuna di averne avuta una.  Per la Chiesa ilo matrimonio e la famiglia non sono, infatti, realtà puramente opzionali, ma la modalità di vivere che rende veramente felici. Così è fatto l’uomo: è, per così dire, “progettato” in maniera tale che può essere felice vivendo l’amore di coppia e costituendo una famiglia stabile. Esaminando altre piste diverse da queste, eccezione fatta per chi sceglie la vita consacrata che è anch’essa una forma di amore e di condivisione della vita con gli altri, si arriva sempre a constatare una qualche forma di sofferenza o di vuoto. Una famiglia stabile, quale il matrimonio può garantire, permette di porre le basi per uno sviluppo armonioso e un futuro sereno.