Gli “alter Christus” lungo il tempo:

Antonio, Benedetto, Francesco, Domenico

 

 

Sant’Antonio Abate: esempio di monachesimo orientale

 

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Sant’Antonio Abate (nato nel 250 a Qumans in Egitto - morto nel 356 a Tebaide) è l’esempio di cristiano che ha compiuto un severo cammino per sganciarsi dai lacci di questo mondo e per potersi elevare sempre più libero verso Dio.

Rimasto orfano verso i 18-20 anni, con un ricco patrimonio da amministrare e una giovane sorella da educare, decise di abbandonare tutto per amare totalmente Dio. Venduti i suoi beni e affidata la sorella ad una comunità di vergini, seguì l’esempio di alcuni anacoreti che vivevano nelle vicinanze.

Dopo alcuni anni decise di rifugiarsi dapprima in un’antica tomba scavata nella roccia di una collina nei dintorni del villaggio di Cuma e successivamente sulle montagne del Pispir, in una fortezza abbandonata.

Il suo intento fu quello di allontanarsi dalla gente che spesso andava da lui per consigli e soprattutto per vincere le tentazioni e i desideri che affioravano nella mente e che lo facevano dubitare della scelta di eremita.

Antonio decise per la prima volta di abbandonare il suo eremo nel 311, per recarsi ad Alessandria a sostenere e confortare i cristiani perseguitati per ordine dell’imperatore romano Massimino Daia.

Egli fu risparmiato, forse perché incuteva rispetto e timore; la sua presenza fu determinante per l’amico Sant’Atanasio, vescovo di Alessandria, che nel frattempo si trovava a dover affrontare anche il problema dell’eresia ariana.

Dopo l’Editto di Costantino (313 d.C.), che portò un po’ di pace nell’Impero, Antonio Abate si ritirò nuovamente in solitudine nel deserto della Tebaide. Morì a 106 anni accudito da due monaci che nell’estrema vecchiaia gli stettero vicino. Molti monasteri sorsero in questa zona, fondati da persone desiderose di seguire il suo esempio. I suoi discepoli hanno tramandato la sua sapienza in 120 detti e le 20 lettere da lui scritte.

Le sue reliquie vennero scoperte nel 561 e cominciarono un lungo peregrinare, giungendo nell’XI secolo in Francia a Motte Saint Didier, dove in suo onore fu eretta una chiesa.

 

 

San Benedetto da Norcia: esempio di monachesimo occidentale

 

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San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa dal 1964 per volere di papa Paolo VI, assieme ai Santi Cirillo e Metodio, che nel IX secolo si occuparono dell’evangelizzazione delle popolazioni slave, è considerato colui che diede la massima espressione al monachesimo in Occidente. Tre erano i principi fondamentali su cui egli si basò:

la stabilità del luogo: i monaci a differenza degli altri religiosi, oltre ai voti di obbedienza, castità, povertà, scelgono anche il monastero in cui vivranno stabilmente;

la scansione del tempo e dell’orario per non sprecarlo, suddiviso in preghiera e lavoro: la famosa Regola Benedettina “ora et labora” cioè “prega e lavora”;

 l’assoluta uguaglianza per tutti nei diritti e nei doveri. San Benedetto è ricordato per la Regola, espressione della Riforma benedettina, composta da un prologo e da 73 capitoli, che diede uniformità alla condotta di tutti monaci dei vari monasteri.

 

 

La figura di San Francesco d’Assisi

 

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Francesco d’Assisi (1182-1226), santo patrono d’Italia (18 giugno 1939 da Pio XII che lo definì “Il più italiano dei Santi, il più Santo degli Italiani”), è l’uomo più conosciuto ed amato, da uomini di ogni ceto sociale e credo religioso. Molti giovani si sono innamorati e si innamorano tuttora della sua persona e desiderano seguire il suo esempio.

Perché? Cos’ha di straordinario questo personaggio? Nell’agosto del 2000, anno del 26° Giubileo, davanti alla Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II e di centinaia di migliaia di giovani pellegrini arrivati da tutto il mondo, il noto cantautore italiano Angelo Branduardi presentò lo spettacolo La Lauda di Francesco. Branduardi si dichiara un laico. Che cosa lo ha spinto a raccontare e cantare la vita di San Francesco? Così egli risponde:

 

E San Francesco? Perché un laico come me ha scelto di misurarsi con un Santo? Innanzitutto perché Francesco è, oggi forse più di ieri, Santo, ma anche un grande poeta. Un poeta che amava cantare. Ecco: ciò che mi ha spinto a mettere in musica alcuni suoi scritti ed episodi della sua vita tratti dalle Fonti Francescane, è stata innanzitutto la voglia di ridare voce alle sue parole, perché potessero essere nuovamente cantate.

Del Francesco uomo (e Santo) mi ha sempre affascinato la gioia di vivere; la sua scelta di povertà «mai disgiunta dalla letizia». E il suo essere, in questo senso, molto lontano dai volti tristi ed esaltati della spiritualità monastica tradizionale. La sua figura, oggi, mi appare fragile e, al contempo, straordinariamente vigorosa. Viva e attuale. Vicina alle passioni e ai grandi problemi contemporanei come la povertà, la malattia, la guerra, il rapporto con “l’altro” e con l’ambiente. Una figura esemplare ed eccezionale di un uomo totalmente cristiano nella scelta di vivere integralmente il Vangelo, ma che non ha mai smesso di essere uomo. E, quindi, un vero Santo. Un Santo poeta che amava cantare.

 

San Francesco è stato il primo autore poeta della storia della letteratura italiana del 1200: il Cantico delle Creature, una lode a Dio in quanto Creatore e una lode alla natura in quanto Sua creatura, viene studiato nelle nostre scuole come esempio di opera poetica della letteratura italiana nascente. È stato scritto in volgare umbro del XII secolo ed è una prosa ritmica, con rima imperfetta, divisa in strofe irregolari, dai due a cinque versi. Secondo la tradizione, la composizione risalirebbe a due anni prima della morte di Francesco, già malato e quasi cieco.

 

Francesco si fece predicatore missionario per oltre un quindicennio (dal 1208 al 1224) in e fuori Italia: Siria, Marocco, Francia e Spagna. Egli fu il precursore del dialogo tra cristiani e musulmani durante la V Crociata (1217-1221) in cui tentò un primo approccio con i saraceni guidati dal sultano d’Egitto Al-Malik al Kamil, che lo accolse e ascoltò benevolmente.

Per comprendere adeguatamente le fonti relative all’incontro di Francesco con il Sultano d’Egitto, nel contesto della quinta crociata ci serviamo di alcune pagine della scrittrice Chiara Frugoni:

 

Francesco riprese il suo progetto di recarsi dagli infedeli; si imbarcò ad Ancona il 24 giugno del 1219 e dopo alcuni mesi giunse finalmente in Egitto. Andò subito a Damietta, nel campo dei crociati che assediavano la città, cercando di farli desistere dai combattimenti.

Di fronte alla cristianità in armi che solo con la forza pensa di poter riscattare i luoghi santi, di fronte alla Chiesa che chiude il dissenso con la violenza e la morte, Francesco ha parole diverse e dissonanti, anche se tratte come sempre dal Vangelo.

Nel capitolo sedicesimo della Regola non bollata, quasi a riassumere le meditazioni del viaggio in Egitto prescrive: «I frati che vanno presso gli infedeli e i saraceni possono stabilire un dialogo spirituale in due modi. Uno è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani.

L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio affinché infedeli e saraceni credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di tutte le cose, nel Figlio redentore e salvatore e siano battezzati e si facciano cristiani, perché se ognuno non sarà nato di nuovo dall’acqua e dallo Spirito Santo non potrà entrare nel regno di Dio».

Francesco affidava dunque l’efficacia del suo messaggio prima di tutto alle opere, al buon esempio mostrato, e solo in un secondo tempo ad una esortazione verbale.

In un’anonima opera in antico francese, databile fra il 1229-31, si precisa che Francesco lasciò i crociati per recarsi in campo avverso perché amareggiato profondamente dal loro operato, e che si fermò in Egitto fino alla presa di Damietta da parte dei crociati; poi, disgustato dal loro comportamento («vide il male ed il peccato»), passò in Siria (dove avrà raggiunto frate Elia).

Tommaso da Celano registra soltanto lo straordinario gesto del santo che «mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e pagani» non aveva avuto timore di recarsi insieme ad un compagno dal sultano Màlik-Kámil nella speranza di convertirlo.

Plausibilmente vi arrivò durante la tregua d’armi dell’estate dello stesso 1219; [...] i due frati sarebbero stati subito individuati e insultati, frustati, torturati dalle sentinelle saracene. Ma l’accoglienza del sultano è invece estremamente calorosa, ciò che toglie credibilità alla prima parte del racconto. «Fu ricevuto dal sultano con grande onore. Questi lo circondava di favori come meglio poteva, gli offriva molti doni [...].

Era molto ammirato e commosso dalle parole di Francesco e lo ascoltava assai volentieri ».[...] Anche Giacomo da Vitry, in una lettera del 1220 da Damietta, scritta proprio dopo la presa della città, ricorda il coraggio di Francesco nell’essere passato nell’esercito nemico a predicare ai saraceni; tanta sarebbe stata l’ammirazione del sultano che in segreto avrebbe chiesto al suo evangelizzatore di farsi portatore di una supplica a Dio, perché lo ispirasse a scegliere quella religione che più piaceva al Signore.

 

(da C. Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi, Torino 1995, 99- 104).

 

L’ordine francescano fu riconosciuto da papa Innocenzo III nel 1210 ed approvato definitivamente con la Regula Bullata nel 1223 da Papa Onorio III. Attualmente l’Ordine dei Frati Minori, chiamati da Francesco in tal modo perché così venivano chiamati i cittadini più poveri del suo tempo, sono divisi in minori, conventuali, cappuccini e francescani secolari. Tra i seguaci di Francesco ci furono anche delle donne, che vennero raccolte in comunità (le Clarisse) sotto la guida di Santa Chiara d’Assisi (1193- 1253), amica d’infanzia e giovinezza di Francesco. L’ordine Francescano conta oggi 650.000 presenze in 110 nazioni del mondo e rappresenta l’ordine religioso maggiormente diffuso.

 

 

La figura di San Domenico di Guzman

 

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San Domenico di Guzman (Castiglia 1170 - Bologna 1221) fu il fondatore dell’ordine religioso dei frati predicatori: la predicazione fu, infatti, la sua ragione di vita e l’arma principe contro la diffusione delle eresie (ricordiamo la lotta contro i catari in Francia).

Come per Francesco, anche per Domenico il modello concreto proposto nella predicazione fu quello di una vita rispondente al Vangelo. L’obiettivo di Domenico fu quello di dotare la Chiesa di un “corpo militante” scelto con una solida preparazione culturale e teologica.

I domenicani divennero ben presto professori nelle nascenti università di Bologna, Parigi, Colonia: ricordiamo Alberto Magno (1193-1280) ed il suo discepolo Tommaso d’Aquino (1225-1274) che diedero un importante contributo allo sviluppo della teologia medioevale e vennero in seguito acclamati dottori della Chiesa.

L’ordine domenicano venne approvato in primis da Innocenzo III nel 1215 ed in via ufficiale il 22 dicembre 1216 da Onorio III. San Domenico ricordato come l’apostolo che non conosce compromessi né irrigidimenti perché “tenero come una mamma e forte come un diamante” (secondo la definizione di Lacordaire) venne canonizzato dall’amico Gregorio IX il 3 luglio 1234 ed è fino ad oggi considerato il Patrono e Difensore perpetuo della città di Bologna. Di lui egli disse: “In Domenico ho trovato un uomo che ha integralmente attuato la vita degli apostoli”.

La predominante scelta che fu fatta a favore dell’Ordine dei domenicani a far parte dell’Inquisizione, il cui iniziatore fu Innocenzo III, era dovuta sia alla loro preparazione teologica sia perché l’ordine domenicano da subito aveva avuto una dimensione europea; i frati domenicani, inoltre, a differenza dei vecchi ordini monastici, agivano soprattutto nelle città, dove i predicatori eretici svolgevano la loro opera.