La religione
nell’antichità
Fin
dall’antichità l’uomo seppelliva i propri defunti e ciò non era dovuto solo a
ragioni d’igiene o di rispetto, ma anche all’intuizione che vi fosse una vita
nell’aldilà. Le modalità di sepoltura
sono diverse e stanno ad indicare, oltre al culto religioso seguito, la
descrizione di come veniva immaginata questa nuova vita ultraterrena.
A
riprova di ciò consideriamo, ad esempio, le ossa umane che sono state rinvenute
nei terreni dove sorgono i grandi megaliti. I megaliti, enormi strutture di pietra che l’uomo
antico erigeva come prima forma di tempio, ricordano la montagna che, per
semplice intuizione naturale, avvicina l’uomo al cielo e quindi alla divinità.
Inoltre, queste costruzioni delimitano sempre uno spazio sacro che serve a
officiare il culto.
Megalito: da mega - grande
e lythos - sasso è un enorme pietra conficcata nel
terreno dall’uomo. Sono strutture più o meno elaborate, cioè formate da una o
più grandi pietre.
Statua
della dea Cybele (Museo Getty Villa, Malibu, California, USA) una delle differenti e numerose
espressioni della “Magna Mater”, la Grande Madre.
Presso
i siti archeologici delle aree più antiche di insediamento umano sono state
trovate statuette che raffigurano le prime divinità: si tratta di divinità
femminili chiamate veneri o dee-madri; sono rappresentate
generalmente come figure piuttosto formose, spesso incinte, perché venivano
invocate per propiziare la fertilità e l’abbondanza nella famiglia, nell’agricoltura
e nell’allevamento.
Le
grandi civiltà antiche del bacino del Mediterraneo hanno sviluppato religioni politeiste la cui eco giunge fino ai giorni nostri. Alcune di
queste realtà, migrate da quei luoghi alla nostra attuale Europa, hanno lasciato
dei segni anche nelle nostre terre, come avvenuto ad esempio per la dea Cybele,
il cui culto ha raggiunto l’attuale Italia centrale appenninica. Passiamo in
rassegna queste realtà e cogliamone i tratti comuni, le differenze e gli
influssi giunti fino ai nostri giorni.
Il
menhir, dal bretone men e hir
"pietra lunga", si presenta come una grossa pietra allungata eretta
verticalmente.
Il
dolmen è una tipologia di tomba antica a camera singola.
Il
cromlech è costituito da pietre conficcate a terra in modo tale da creare una
piccola o grande camera circolare.
La religione nella Mesopotamia
In
Mesopotamia si sono
succedute grandi civiltà (gli Accadi, i Sumeri, gli Assiri e i Babilonesi),
diverse tra loro, ma con tratti comuni per quanto riguarda le loro religioni:
•
sono politeiste;
•
le divinità sono antropomorfe, cioè
rappresentate con forma umana;
•
il tempio era chiamato Ziggurat ed
era una piramide a gradoni con il vertice a terrazza; era fortificata perché
aveva anche funzione difensiva;
•
codificano in miti la tradizione
orale;
•
credono in un aldilà che è poco
rassicurante per tutti: l’anima vaga senza meta.
Mesopotamia: («in mezzo ai due fiumi») è il nome della regione
geografica che si trova tra il Tigri e l’Eufrate, oggi Iraq.
La
grandiosa ziggurat dell’antica città di Ur, fatta costruire dal re Ur-Nammu alla fine del XXI secolo a.C.: l’idea di
raggiungere la divinità fa costruire all’uomo “montagne”.
Il
mito di Gilgamesh
Gilgamesh
il re della città di Uruk. Era un buon re, ma aveva
la mania di abbellire senza limite le strade, le piazze e i palazzi della sua
città. I sudditi, disperati e stanchi di essere tassati per quelle spese esose,
cominciarono a pregare; pregarono così tanto gli dei del cielo che la dea Aruru, la creatrice, ascoltò ed esaudì la loro richiesta.
Per distogliere Gilgamesh dalla sua fissazione, la dea prese dell’argilla, la
modellò, ne formò un uomo, gli diede la vita e lo mandò al re. Enkidu, l’eroe nato dalle mani di Aruru,
e Gilgamesh per un po’ si contrastarono, ma poi diventarono grandi amici e
cominciarono a vivere tante avventure insieme. Sia come sia, lo scopo era stato
raggiunto: Gilgamesh si occupava d’altro.
Purtroppo,
però, Enkidu si ammalò e morì. Gilgamesh di fronte
alla morte dell’amico cadde in una profonda disperazione e cominciò ad
invocarlo a voce alta di giorno e di notte senza tregua. Il fastidio di questi
lamenti fece sì che le divinità del cielo decisero di permettergli di vedere
per l’ultima volta Enkidu, così da farlo smettere.
Saputo che ebbe dell’esistenza di un luogo per i morti, Gilgamesh pensò che
sarebbe diventato suo unico scopo trovare l’immortalità da regalare ai suoi
sudditi, finché scoprì che il suo segreto stava in una pianta che vive in fondo
al mare: bisognava cercarla, trovarla e mangiarla.
Gilgamesh
partì, la cercò, la trovò e, mentre stava tornando a casa, vide sulla riva del
mare una fontana di acqua fresca che lo ammaliò e sembrò invitarlo a bere e a
lavarsi. Gilgamesh si lasciò tentare, abbandonò la barca per andare alla
fontana e lasciò incustodita la pianta dell’immortalità che fu mangiata da un
serpente.
Rilievo
raffigurante Gilgamesh mentre doma un toro. Spesso lo si vede anche dimostrare
la sua forza con i leoni.
La religione in Egitto
La
sfinge di Giza in Egitto, con sullo sfondo la piramide di Cheope.
Nell’antico
Egitto la religione aveva carattere politeista.
Le tante divinità erano rappresentate sia in forma umana (antropomorfa) che in
forma animale (zoomorfa).
La
divinità principale, a capo del pantheon, era il dio Ra,
che veniva rappresentato con il disco solare e aveva la sua personificazione in
terra nella figura del faraone. In alcune città questa divinità era chiamata Amon, in altre Aton. Va
considerato, a questo riguardo, il nome di alcuni faraoni: Ramses (Ra-mses), Tutankhamon (Tutankh-amon).
Nel
1356 a.C. il faraone Amenofi IV cercò di superare il politeismo e
di instaurare un monoteismo attorno al dio-sole, per il quale scelse il nome di
Aton cambiandosi anche il suo nome (Akhenaton). Egli, però, fu duramente contrastato dai
sacerdoti che, per questa decisione, avrebbero perso sia in autorità sociale
che in potere economico. Alla morte del faraone fu ripristinato infatti il
culto politeista precedente. In ogni caso, politeismo o monoteismo, la gente
cominciò a scegliere, tra le tante, una divinità sola cui chiedere protezione
contro le malattie e contro le sventure.
Il
tempio, casa di dio, cominciò ad
avere caratteristiche architettoniche particolari come colonne, vestiboli,
atri. Costruiti con il massimo splendore, essi offrivano stanze riservate ai
fedeli, alcune solo per i sacerdoti, altre solo per il faraone. Le statue delle
divinità venivano curate come fossero uomini in carne ed ossa, perciò si
portava al tempio acqua, cibo, vestiti, gioielli, incenso. Spesso le statue
venivano portate in processione da un tempio ad un altro: davanti precedeva il
sacerdote, dietro seguivano i fedeli. I sacerdoti erano una casta molto
potente, rappresentavano il faraone e quindi la divinità e il loro ruolo era
ereditario.
Nell’antico
Egitto viene riposta molta attenzione all’esperienza della morte. Le grandi Piramidi
sono in realtà tombe per il faraone e sono da considerare come grandi scale per
il cielo. Sono orientate perfettamente con i punti cardinali e,
nell’immaginario collettivo, il faraone (dio sole) poteva così raggiungere la
sua vera dimora “camminando” sui raggi solari.
L’aldilà
cui si credeva era il regno del dio Osiride,
ma solo l’uomo giusto poteva raggiungerlo. A ciascuno venivano considerate e
giudicate le azioni compiute nella vita terrena, così da vedere se si meritava
o meno l’accesso nel regno dei morti. A tale scopo veniva pesato su una
bilancia il cuore, sede dei sentimenti e della volontà, e come contrappeso
veniva appoggiata una piuma, simbolo di verità. Se il cuore pesava come la
piuma o meno di essa il passaggio al regno dei morti avveniva, se invece il
cuore risultava pesante (“cuore di pietra”) il defunto doveva entrare in un
luogo di sofferenza dove la Divoratrice (metà coccodrillo e metà ippopotamo)
l’avrebbe finito per sempre.
Gli
egizi pensavano che l’uomo fosse costituito dal corpo e dall’anima: il ka e il ba. Le due forze si
dovevano ricomporre insieme dopo la morte per originare l’akh,
la pienezza. Ciò avveniva solo se il corpo era integro. Da qui l’importanza
della mummificazione, che nell’antico Egitto venne perfezionata con tecniche a
tutt’oggi sorprendenti.
Pantheon: letteralmente “tutti gli dei”, indica o tutte le
divinità di una religione politeista o un tempio dedicato a più di un dio.
Il
Mito di Osiride
Thot,
dio del cielo, ebbe un figlio, Osiride, al quale diede il compito di portare la
civiltà nell’antico Egitto. Osiride si sposò con Iside, ma la loro felicità fu
turbata da Seth, il quale, invidioso del ruolo del fratello Osiride, pensava
soltanto all’unico modo per eliminarlo.
Lo
invitò a cena una sera, da solo, e nella sala dove si ritirarono gli fece
trovare una bellissima cassapanca chiusa. Quando Osiride espresse la curiosità
di sapere cosa ci fosse dentro alla cassa, Seth, facendo il misterioso e
parlando di segreti, fece accrescere ulteriormente la curiosità nel fratello.
Alla fine, fingendo una resa, raccontò del potere che la cassapanca aveva di
dare a chiunque ci stesse disteso dentro ciò che desiderava. Osiride s’impose
per provare e Seth approfittò del fatto per rinchiudere il fratello nella cassa
e gettarla nel Nilo. Il Nilo la portò nel mare e il mare la fece naufragare
nelle coste della Fenicia (Libano). Lì fu ritrovata molti anni dopo dai servi
del re che cercavano alberi per costruire nuove colonne alla sala delle feste.
Una tamerice che cresceva sulla riva del mare aveva inglobato a sé la cassa. Un
fatto così sensazionale fece il giro del mondo allora conosciuto e la notizia
arrivò alle orecchie di Iside e di Seth che, per ragioni diverse, corsero in
Fenicia a vedere. Arrivarono all’apertura della cassa e mentre tutti i presenti
erano stupiti nel veder uscire Osiride un po’ intontito ma vivo, Seth,
disperato, prese la prima cosa a portata di mano, l’accetta dei servi, e fece a
pezzi, davanti alla moglie inorridita, il fratello. Non contento, prese i pezzi
e li disperse per l’intero Egitto. A Iside non rimase altro che cercare i pezzi
e riunirli, attaccandoli con una sostanza appiccicosa fatta di resina e profumo
chiamata balsamo e tenendo uniti i pezzi con l’aiuto di lunghe bende di lino.
A
lavoro finito Osiride era simile ad una mummia e così si ritrovò nel regno dei
morti a pesare il cuore di chi voleva entrare.
La
grande madre Iside: “Io sono tutto ciò che fu, che è e che sarà” (da un testo
rituale antico).
Il
dio Osiride, raffigurato con i suoi attributi regali, il bastone ricurvo in
mano e il flagello, elementi tipici dei pastori e caratteristici del dio Andyeti, cui è assimilato.
La religione nell’antica Grecia
Anche
la religione dell’antica Grecia si presenta in forma prettamente politeista e
antropomorfa. Una particolarità immediata che si nota è che qui gli dei abitano
su di un monte, il Monte Olimpo. Di
questo monte, però, non si vede mai la cima che è sempre coperta dalle nuvole e
perciò è come se abitassero in cielo. Gli dei greci non avevano sono l’aspetto fisico degli uomini, ma anche
i sentimenti e le debolezze: provavano amore e amicizia,
ma anche rabbia, gelosia, invidia. Dell’umore degli dei ne risentivano gli
uomini che spesso, letteralmente in balia di esso, dovevano sopportarne le
conseguenze più disparate. Gli dei erano creduti immortali.
Numerosi
sono i miti e le epopee giunte fino
ai giorni nostri che ci permettono di ricostruire tutto ciò in cui gli antichi
greci credevano. L’entità divina più importante era senza dubbio il Fato
(Destino) le cui decisioni erano improrogabili e a cui persino Zeus doveva
sottostare. In un primo tempo il Fato aveva la fisionomia di tre vecchie, le
Moire, che possedendo un unico occhio in tre risultavano perlopiù cieche e
avevano il compito di filare, tessere e tagliare il filo della vita.
Le
divinità maggiori erano dodici, avevano un ruolo ben preciso e le loro
decisioni ricadevano sulla vita degli uomini che vivevano come burattini nelle
loro mani. Le alterne fortune dei viventi dipendevano infatti dall’essere
protetti o meno da qualche divinità.
·
Zeus,
padre e capo degli dei, dio del cielo e della terra.
·
Poseidone,
dio del mare.
·
Ade,
dio dell’oltretomba.
·
Era,
moglie di Zeus e protettrice della famiglia.
·
Estia,
dea del focolare domestico.
·
Demetra,
dea dell’agricoltura.
·
Afrodite,
dea della bellezza e dell’amore.
·
Pallade
Atena, nata dalla testa di Zeus, dea della giustizia e della sapienza.
·
Ares,
figlio di Zeus e di Era, dio della guerra.
·
Efesto,
fratello di Ares, fabbro degli dei.
·
Apollo,
figlio di Zeus e Latona, dio delle arti, guidatore
del carro del Sole.
·
Artemide,
sorella gemella di Apollo, dea della caccia.
Immortale: non muore
mai, ma nasce; diverso da eterno: non nasce né muore, è da sempre e per sempre.
Il
culto al dio Apollo, in particolare, aveva come scopo la conoscenza del futuro.
Molti si recavano dall’oracolo
per conoscere il loro destino. L’oracolo era il sacerdote di Apollo e i suoi
responsi, di non facile comprensione, erano da interpretare. Celebre è il
seguente: “Partirai Tornerai Non Morirai in battaglia”. Questa frase senza
punteggiatura può significare sia la salvezza che la morte del richiedente, a
seconda se si consideri la parola “non” in relazione a “tornerai” (non
tornerai, cioè morirai) o a “morirai” (non morirai, quindi tornerai). Il più
famoso tra gli oracoli era a Delfi.
L’aldilà era dapprima creduto solo come
un posto triste governato da Ade, poi si inserì la possibilità di entrare in
luoghi più piacevoli, chiamati Campi Elisi, grazie all’influenza di Persefone. Gli antichi greci credevano che solo l’anima
fosse immortale e che continuasse a vivere separata dal corpo anche dopo la
morte.
I
templi erano sontuosi e di grande
architettura. Erano decorati con fregi e abbelliti con dipinti, statue e
colonne. Potevano essere dedicati ad un singolo dio o a più dei (pantheon).
Oracolo: dal verbo
latino “orare” (chiedere), è qualcuno o
qualcosa considerato come fonte di saggi consigli o di profezie circa il
futuro.
I
resti del tempio di Poseidone a Capo Sounion, promontorio a circa 70 km da Atene. Secondo la
mitologia greca sarebbe il luogo dal quale Egeo, re di Atene, si sarebbe
gettato nel mare: da qui nome di Mar Egeo.
Moneta
di bronzo raffigurante il volto di Zeus, databile attorno al 230 a. C. Spesso
l'immagine sulle monete greche antiche rimanda alla presenza di una divinità o
di una figura mitologica.
Il
mito di Ade e Persefone
Demetra,
figlia di Crono e di Rea, era la madre di Persefone.
Un giorno Persefone, mentre coglieva dei fiori con
altre compagne si allontanò dal gruppo e all'improvviso la terra si aprì e dal
profondo degli abissi apparve Ade, dio dell'oltretomba e signore dei morti, che
la rapiva perché da tempo innamorato di lei. Il rapimento si era compiuto
grazie al volere di Zeus.
Demetra,
accortasi che Persefone era scomparsa, per nove
giorni corse per tutto il mondo alla ricerca della figlia, fino alle più remote
regioni della terra. Ma per quanto cercasse, non riusciva né a trovarla, né ad
avere notizie del suo rapimento. Fu Elios che disse a
Demetra che a rapire la figlia era stato Ade.
Inutile
descrivere la rabbia e l'angoscia di Demetra, tradita dalla sua stessa
famiglia. Demetra abbandonò quindi l'Olimpo e, per vendicarsi, decise che la
terra non avrebbe più dato frutti ai mortali, cosicché la razza umana si
sarebbe estinta nella carestia. In questo modo gli dei non avrebbero più potuto
ricevere i sacrifici votivi degli uomini, fatto di cui andavano tanto orgogliosi.
La
dea si mise poi a vagare per il mondo, cercando di soffocare la sua
disperazione, sorda ai lamenti degli dei e dei mortali che già assaporavano
l'amaro gusto della carestia.
Alla
fine, Zeus, costretto a cedere alle suppliche dei mortali e degli stessi dei,
inviò Ermes, il messaggero degli dei, nell'oltretomba da Ade, per ordinargli di
rendere Persefone alla madre. Ade, inaspettatamente,
non si oppose alla decisione di Zeus e, anzi, esortò lui stesso animatamente Persefone a fare ritorno dalla madre. Ma un inganno era in
agguato. Infatti Ade, prima che la sua dolce sposa salisse sul cocchio di
Ermes, fece mangiare a Persefone tre chicchi di
melograno, dando atto in questo modo al sortilegio che le avrebbe impedito di
rimanere per sempre nel regno della luce.
Grande
fu la commozione di Demetra nel rivedere la figlia e, in quello stesso istante,
la terra ritornò fertile ed il mondo riprese a godere dei suoi doni.
Solo
più tardi Demetra scoprì l'inganno teso da Ade: avendo Persefone
mangiato i chicchi di melograno nel regno dei morti, era costretta a farvi
ritorno, ogni anno, per un lungo periodo. Questo infatti era il volere di Zeus.
Fu
così allora che Demetra decretò che nei tre mesi che Persefone
doveva stare nel regno dei morti nel mondo sarebbe calato il freddo e la natura
si sarebbe addormentata.
Frederick
Leighton, Il
ritorno di Persefone, 1891, Leeds City Art Gallery, Gran Bretagna. Persefone,
divinità legata ai riti agricoli, sposando Ade era divenuta anche la regina
degli Inferi. Essa rappresentava simbolicamente l’alternanza e il suo culto fu
particolarmente sentito in Magna Grecia ed in Sicilia. Nel suolo italico essa
arriverà a corrispondere in futuro alla figura latina di Proserpina, anch’essa
protettrice dei raccolti e del mondo agricolo in generale.
Il
mito di Orfeo ed Euridice
Orfeo
era figlio di Eagro, re della Tracia, e della musa Calliope. Il dio Apollo gli donò la lira e le Muse gli insegnarono ad
usarla, per questo era così bravo a suonare.
Un
giorno Orfeo si innamorò di una ragazza, Euridice e
si sposarono. Ma di Euridice era innamorato anche Aristeo, che la insidiò fino a che lei non scappò. Nella
fuga Euridice venne morsa da un serpente e morì,
andando così nel regno dei morti: l'Ade.
Orfeo
disperato la seguì nell'Ade e portò la sua disperazione per la morte di Euridice, suonando e cantando in tal modo da far piangere
tutti, Caronte, Cerbero e alla fine Proserpina stessa, moglie di Ade, che
concesse ad Orfeo di riaccompagnare alla luce Euridice,
a patto di non voltarsi mai a guardarla fino a che non fossero fuori dall'Ade.
Arrivato però in prossimità dell'uscita, Orfeo venne assalito da un dubbio: e
se quella che stava conducendo per mano non fosse stata Euridice,
bensì solo un'ombra? E così si volse a guardarla. Il patto fu infranto ed Euridice tornò per sempre nel regno dei morti. Orfeo,
disperato, si rifugiò su un monte, continuando a suonare.
Muse: nove personaggi femminili
della mitologia, figlie di Zeus e di Mnemosine
(Memoria)che rappresentavano l'ideale supremo dell'arte, di cui erano patrone.
Francesco
Xanto Avelli, Coppa con Euridice,
Aristeo e Orfeo, Urbino, 1531 circa. Narra lo
storico Ovidio nelle Metamoforsi (X, 61-63): “Ed
Ella, morendo per la seconda volta, non si lamentò; e di che cosa avrebbe
infatti dovuto lagnarsi se non d'essere troppo amata? Porse la marito l'estremo
addio, che Orfeo a stento riuscì ad afferrare, e ripiombò di nuovo nel luogo
donde s'era mossa".
La religione
nell’antica Roma
Analizzando
la religione antica romana risalta subito una sorta di parallelismo con quella greca, perlomeno dal punto di vista
dell’elenco delle divinità. In realtà, i romani non si limitarono ad assimilare
il mondo religioso greco, ma presero un po’ da tutte le religioni dei popoli
che via via conobbero man mano che procedevano con le
loro conquiste. Più che di religione politeista, infatti a Roma si può parlare
di insieme di tanti culti.
La
ragione va cercata nel sentimento superstizioso proprio dei romani che, per
paura di incontrare divinità più forti delle proprie che potessero rivelarsi
come nemiche, tendeva a dare spazio a tutti gli dei, evitando così eventuali maledizioni. Come a
dire che la via più facile non era combattere le altre religioni, ma
“crederci”.
La
conseguenza più immediata di tale atteggiamento fu una tolleranza nei confronti di tutti i popoli
conquistati, ai quali i romani permettevano, sempre per non offendere le
divinità, di continuare a professare il proprio culto.
L’unica
religione nei confronti della quale i romani per un certo periodo di tempo si
incattivirono, cercando di eliminarla con ogni mezzo attraverso persecuzioni, fu, come
studieremo più avanti, la religione Cristiana.
Tolleranza:
atteggiamento di rispetto verso idee o persone diverse.
Persecuzione: cercare,
trovare, torturare e infine uccidere coloro che hanno un’idea diversa o che
seguono una religione differente da chi comanda.
Immagine
dell’interno del tempi del Pantheon a Roma, costruito dall’imperatore Adriano come
tempio dedicato alle divinità
dell'Olimpo. La scrittrice francese Marguerite Yourcenar
nella sua opera Memorie di Adriano fa così parlare l’imperatore: “Volli che
questo santuario di tutti gli dei rappresentasse il globo terrestre e la sfera
celeste, un globo entro il quale sono racchiusi i semi del fuoco eterno, tutti
contenuti nella sfera cava”. Una curiosità: la cupola del Pantheon è la più
grande cupola della città di Roma, più grande anche di quella della Basilica di
San Pietro.
Le
divinità nell’antica Roma erano considerate immortali e potevano essere sia antropomorfe che zoomorfe. Troviamo tra le principali divinità sia alcune di origine
etrusca che di origine greca, ma le più importanti personificavano i valori in
cui era fondata la società. Quirino, Giano bifronte, i Lari, i Mani e i Penati
unitamente a Giove, Marte, Vesta, erano i principali. Quirino, aveva il tempio
sul colle più alto di Roma (Quirinale), era il dio protettore della città e
personificava Romolo, fondatore della stessa.
Giano
guardava il futuro tenendo controllato anche il passato grazie alle sue due
facce. Per questo motivo si cominciò a contare l’anno nuovo nel mese dedicato
alle feste a lui riservate, gennaio.
I
Lari, i Penati e i Mani sono
divinità a protezione della famiglia e dello stato. Ogni casa aveva il suo
larario che era l’altare per venerare i Lari.
Giove
(Zeus) diventa il capo del pantheon, Marte (Ares) il dio della guerra e Vesta (Estia) la dea del fuoco sacro.
L’idea
della morte e dell’aldilà si distingue però dalle
religioni viste in precedenza. Gli antichi romani credevano che i morti
entrassero in un regno che era diviso in tre parti: il Tartaro per chi era
stato malvagio, i Campi Elisi per i giusti che avevano compiuto il proprio
dovere, i Campi Lugentes per i giovani.
Per
entrare in contatto con le divinità si ricorreva alla preghiera e ai sacrifici.
Mediatore tra uomini e divinità era il sacerdote,
che fungeva anche da aruspice, cioè studiava le interiora dell’animale
sacrificato per leggervi se la divinità aveva gradito o meno il dono.
Anche
i romani si affidavano agli oracoli per conoscere il futuro. Il più famoso era
la sacerdotessa di Apollo che viveva a Cuma (vicino Napoli) chiamata Sibilla
cumana.
I
resti della Casa delle Vestali nel Foro Romano di Roma. Le vestali,
sacerdotesse consacrate alla dea Vesta, avevano il compito di mantenere sempre
acceso il fuoco sacro davanti alla Dea, la quale rappresentava la vita della
città. Se una Vestale lasciava spegnere il fuoco subiva una punizione
durissima: essere sepolta viva con una lampada e una piccola provvista di pane,
acqua, latte e olio.